Data di Pubblicazione:
2014
Abstract:
Mozart morì il 5 dicembre del 1791, tre mesi dopo la première della Clemenza di Tito, e dunque non seppe mai che l’illustre festeggiato di allora gli sarebbe sopravvissuto solamente per poco più di un anno: Leopoldo II di Asburgo Lorena, che il 6 settembre 1791 veniva incoronato re di Boemia a Praga (già alla testa del sacro romano impero, e re d’Ungheria e Croazia, dall’anno precedente), era il ‘Tito’ che riceveva in dono un’opera di bellezza lancinante. Probabilmente ne fu consapevole, da melomane qual era (malattia di famiglia: si rileggano le Memorie di Lorenzo Da Ponte in proposito), ma è certo che, una volta salito al trono del fratello Giuseppe II (morto il 20 febbraio 1790, meno di un mese dopo il debutto di Così fan tutte), il sovrano dovette operare profondi cambiamenti alla corte di Vienna. L’impero attraversava gravi difficoltà, la nobiltà ungherese e boema premeva sulla capitale, mentre la Révolution era deflagrata nel 1789, coinvolgendo nei suoi furori Maria Antonietta, sorella di Leopoldo e Giuseppe. Il nuovo Cesare dovette cedere su più fronti, per mantenere un po’ di pace nei suoi confini, e ci riuscì, anche se la morte gl’impedì di attuare una vera politica di largo raggio. Peccato, perché quanto aveva fatto come Granduca di Toscana poteva far ben sperare quanti credevano nel progresso. Nel 1786 fu infatti il primo al mondo ad applicare i principi dell’illuminista Cesare Beccaria nel cosiddetto Codice leopoldino, che in un colpo solo abolì la lesa maestà, la confisca dei beni, la tortura e la pena di morte (pena che il fratello, famoso per le sue riforme ‘illuminate’, peraltro ritirate nell’ultimo periodo di vita, non aveva ancora cancellato del tutto).
Leopoldo, sovrano contrario a ogni forma di autoritarismo e fedele a ideali costituzionali, meritava che il vecchio libretto di Metastasio, scritto per festeggiare suo nonno Carlo VI nel 1734 – dunque un soggetto di famiglia –, venisse ripreso per celebrare anche lui. E certamente le radici ideali di quel testo dovevano piacere a Mozart che, come massone, coltivava fra i propri ideali quello del sovrano ‘illuminato’. Ma dopo tante intonazioni (una quarantina circa fino a quel momento) il musicista lo volle adeguare alle sue esigenze, e chiese al poeta Caterino Mazzolà che fosse ridotto «a vera opera», come annotò nel suo catalogo delle opere. «Ma cosa voleva dire per il compositore del Don Giovanni scrivere negli stessi mesi della Zauberflöte un’opera seria che fosse anche una ‘vera’ opera?», si chiede nel saggio introduttivo Sergio Durante, autorevolissimo specialista di questo titolo e del suo autore, che prosegue: «sta in questa domanda la problematicità della Clemenza di Tito, il capolavoro mozartiano che più di ogni altro ha patito incomprensioni e travisamenti».
Secondo Emanuele d’Angelo, che si occupa più da vicino del libretto (ma riflettendo nella prospettiva più vasta della drammaturgia e sugli ipotesti dell’opera), era probabile che Mozart contestasse più che altro la struttura antiquata del lavoro, visto che Mazzolà «chiamato all’arduo e ingrato compito di mettere le mani su un testo assai prestigioso e oggetto di devota letteraria ammirazione, di profanare insomma uno dei sacri parti teatrali del sommo poeta cesareo, taglia, cuce e ricama con estrema finezza e bravura, e le sue suture sono generalmente impercettibili, coi suoi pazienti e devoti mosaici di tessere metastasiane solo di rado accantonati per materiale nuovo di zecca ma profumato d’Arcadia passata, lontana, deliziosamente polverosa (incipriata)».
In ogni caso il risultato di questo lavoro di cesello, in barba ai pregiudizi dei critici – soprattutto quelli che scrivevano in pieno Ottocento, difensori ad oltr
Tipologia CRIS:
7.1 Curatela
Keywords:
Mozart; Teatro musicale; Metastasio; opera seria; Mazzolà; Leopoldo II
Elenco autori:
Girardi, Michele
Link alla scheda completa:
Pubblicato in: